Un vecchio scalo ferroviario in disuso.
Un binario sul quale non passano treni, ma cresce una vegetazione incontrollabile eppure perfetta. All’aperto, ma in un interno lontano dalla strada, dove i suoni della città non arrivano. Quella città che ami e che sa di te.
E’ estate, fa caldo, all’ingresso un ventaglio da pochi centesimi per ogni ospite: geniale.
Perfetto e immancabile quanto coerente cibo street-chic servito lungo la banchina.
Chiacchiere, sorrisi e poi l’entrata in scena della musica: ottima, elegante, piacevolmente fuori contesto, musica classica.
La sensazione è quella di essere non solo di fronte, ma proprio dentro qualcosa di azzeccatissimo, per ciò che vuole promuovere e ciò di cui vuole parlare, anzi, far parlare.
Vivere. Esperire. Ricordare. Riportare.
Provare cose sulla propria pelle. Regalare momenti alla propria vita, persone alle proprie giornate, spettacolo ai propri occhi ed emozioni al tempo che passa. Volerlo per sé come per gli altri.
Meglio ancora, volerlo creare per gli altri.
Il senso sta tutto qui.
O almeno il senso che a tutto questo grande mondo che chiamiamo “eventi” do io.
La descrizione, romanzata ma non troppo, che avete appena letto si riferisce ad un evento vero al quale ho avuto l’opportunità di partecipare, come ospite in questo caso, e quindi di vivere e giudicare in base alla sua effettiva efficacia come strumento della comunicazione.
L’oggetto della promozione (per usare un termine abusato e un po’ vuoto ma che rende bene l’idea) era il lancio della serie tv “Mozart in the Jungle” su Sky.
Per farlo, l’agenzia incaricata dell’organizzazione aveva deciso, proprio come accade nella serie tv, di slegare la musica classica dai propri, tradizionali e stereotipati, luoghi fisici e mentali e portarla invece là dove meno ce lo saremmo aspettati.
Complice un direttore d’orchestra giovanissimo oltreché bravissimo e una versione “ridotta” dell’ensemble della Scala di Milano ci siamo ritrovati ad ascoltare della musica da camera sublimemente suonata seduti su cassette della frutta del mercato nobilitate da cuscini rossi e come sfondo una Milano nascosta e perlopiù sconosciuta.
Ma non si ferma alla sua bellezza intrinseca la forza di questa location, la parola chiave della riuscita di questo evento (ma della maggior parte degli eventi in generale) sta infatti nella coerenza degli elementi che lo “compongono”.
Lo scalo ferroviario abbandonato di Milano Farini, la scelta dello street food al posto del classico catering (in un’epoca in cui ancora era una scelta stravagante e fuori dagli schemi), le sedute da “mercati generali”, tutto quella sera e in quel luogo parlava di città, di spazi metropolitani di quelli vissuti nel senso più profondo, reale e quotidiano dai suoi abitanti, quelli dove si svolge la vita vera, fino all’azione dirompente e straniante della musica che fa irruzione in questo mondo creando scompiglio, ma anche connubi nuovi ed impensabili bellissimi, scenari che la nostra mente non sarebbe mai riuscita ad immaginare ma che improvvisamente si palesano di fronte ai nostri occhi e ancor di più nelle nostre orecchie e che arrivano a fondersi completamente all’ambiente che li circonda come se non fossero mai stati separati, come se appartenessero indissolubilmente e indubitabilmente da sempre l’uno all’altro.
Esattamente come nella serie tv, almeno per l’immagine che vuole trasferire.
Sono passati 3 anni e se chiudo gli occhi ancora mi ricordo quella serata. Di eventi belli in giro, a Milano, ce ne sono tanti in continuazione ed è una fortuna quando prendere parte a uno di questi diventa un ricordo, a cui è bello e piacevole ripensare.
Una fortuna per chi partecipa, la bravura di chi l’ha immaginato, creato e gestito.
Ps: di Mozart in the jungle sono ancora fan!