E’ la fine di una lunga giornata di lavoro, di quelle stancanti e intense ma proprio per questo belle e piene. Non ho ancora lasciato la mia scrivania e già so che domani dovrò tornare da lei, più ferma, lucida e determinata di prima.
Carta e penna alla mano e non posso fare altro, l’inchiostro inizia a scorrere sul bianco del foglio.
Ed è così che davanti a me ora figura un elenco di “to do” lungo 50 punti.
Ed è per questo che credo che nessun momento sarà mai più appropriato per scrivere un post sulle liste.
Anche se forse non è, quest’ultimo mio, il modo migliore per sfruttarle. 🙂
Anzi no, mi correggo subito, non voglio che pensiate che esista un giusto e uno sbagliato quando si parla di to do list, perché non è così.
Certo se misurassimo l’efficacia dell’elenco come direttamente proporzionale alla capacità di sintesi con la quale viene steso, il mio probabilmente non si posizionerebbe alto in classifica; tuttavia credo incarni perfettamente quella che ritengo sia la vera essenza delle liste, ciò che le rende lo strumento organizzativo perfetto: l’assoluta soggettività della loro creazione.
I miei 50 punti sono lo specchio esatto dello stato (lavorativo e non solo) in cui mi trovo in questo istante in cui li ho stesi, sono il prodotto di un’esigenza (organizzativa e non solo) cui non avrei potuto dare altrimenti risposta.
In questo senso quindi sostengo che le liste siano il mezzo migliore per programmare le attività e predisporci all’operatività che ci aspetta, perché nascono e nello stesso tempo interpretano perfettamente ciò che affolla la nostra mente in una data situazione, donandole e donandoci l’ordine necessario a proseguire nella maniera più corretta per noi in un dato momento, la base alla quale appoggiarci e sulla quale fare forza per procedere con lo step successivo: la messa in atto.
Il passaggio che il nostro cervello è obbligato a compiere perché i pensieri si trasformino in parole(o addirittura frasi di senso compiuto!) e successivamente per dare l’input ai muscoli di muoversi e renderle visibili nero su bianco (o almeno così è come le preferisco io) fa sì che sia ristabilita la chiarezza tra le nostre idee e la nostra visione del futuro(prossimo) che ci aspetta. E lo fa nel modo, nel tempo e nella forma che più ci appartiene, ci rappresenta e infine ci è utile.
Per quella che è la mia esperienza,preferisco quindi non adattarmi a scarne tabelle, specie sepre-impostate e pre-progettate, alle quali piegare il mio pensiero col solo risultato (spesso) di fargli assumere una forma non adatta a me e ai miei bisogni; noncredo nemmeno alle scale di priorità precostruite e basate su criteri altrui, certo coerenti e funzionali, ma che per la natura stessa dell’uomo non possono essere universali.
Mi affido invece, con un sonoro “sì” alle liste di to do che nascono proprio da me, da noi; che siano singoli vocaboli o frasi intere, numerate o con i trattini, scritte in blu, nero o rosa (meglio se con penna profumata) ordinate per importanza o per cronologia, o semplicementein base a come ci sono venuti in mente tutti i nostri “da farsi”, che ci ricordino tante piccole azioni o pochi cruciali macro temi, che si dividano per progetto o per unità temporale.
Insomma sì alle nostre stesse capacità organizzative e voglia di fare che prendono corpo esattamente nella maniera in cui rappresentano e ci sono da spinta per passare all’azione, che in un semplice gesto di scrittura passano dallo stato astratto a quello concreto tracciando la nostra personalissima rotta verso la nostra, altrettanto personale, meta.